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Storia del piccolo virus di Arianna Pasquini

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio". Italo Calvino, Le città invisibili, 1972 Il mio nome è COVInio Diletto, ho 19 anni e sono appena stato incoronato re. Sono così piccolo e insignificante che nessuno mi conosceva fino a pochissimo tempo fa. Nessuno mi aspettava. Ora regno sui ricchi e sui poveri, dov'è caldo e dov'è freddo, sul mare e sulla terra, sui piccoli villaggi remoti, sulle case, sulle strade delle sfavillanti città, sul tempo passato e sul tempo futuro. Ora tutti mi temono, tutti mi nominano. Non c'è orizzonte o immagine, per miserabile o surreale che sia, che non sia colonizzata e dominata dalla mia visione, dai miei passi, da quelli che faccio e da quelli che potrei fare, ma non dico. Il mio silenzio è potente come una mandria di mille cavalli in corsa. Il mondo del possibile, del rischio, del pericolo tangibile o atteso, è il mio regno. Uccido ammalo punisco ferisco. Ma non mi fraintendete, non sono di quei sovranucci psicolabili e annoiati, bramosi di accumulare chissà quali ori e argenti, votati al sangue e alle pene degli ultimi. La mia è una missione a scopo preciso. Non porto salvezza ma un sogno di libertà. Non ve l'ho ancora detto, ma a questo punto è importante dirvi di più di me. Non so da dove vengo. Dicono di avermi trovato in un mercato, schiantato a terra tra polli sgozzati e uccellacci dissanguati. Ma mi ricordo il giorno in cui son diventato un sire. A incoronarmi tutte insieme, con una sola mano solenne e ferma, c'erano Natura, Giustizia, Speranza e Violenza. A me minuscolo sembravano enormi gigantesse consumate dai secoli e dalle sofferenze di mille voci calpestate, taciute, oppresse, malmenate, stanche, ma sostenute da grandi piedi che mettono radici e una testa di sogni così indicibili e meravigliosi da dissetare ogni invidia di giorni migliori. Loro erano una, cioè, una ognuna, quindi una per una facevano quattro. Ma quando parlavano emettevano miliardi di voci. Erano, mi spiegarono allora, tutte le voci di tutte le donne e di tutti gli uomini, genía infame e terribile di mille mondi andati male ma forza soverchiante di tante rivoluzioni intorno ai soli, carcerati, stuprate, sfruttati dall'industria, scacciati dalla terra, sfondati, sparati, musici, poetesse, ingegneri di piccoli grandi sogni, ribelli. Alleati di ogni giustizia, natura, lotta e speranza. Per sempre inadatti ma unici custodi di questo mondo e della storia dei molti, perduta in quella dei grandi. Loro reclamavano la fine dell'impero terribile che mi ha preceduto, di acciaio, polvere, ritmo battuto a martello e denaro pazzo invisibile volante che plana sulla terra e ne fa deserto del nulla. Io ho scagliato la prima pietra. Dopo tutti loro dovranno perseguire la strada sconosciuta della libertà, lottando per loro stessi senza di me. Io non sono fatto per durare. Nulla dura per sempre. Neanche il virus del capitalismo.

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